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giovedì 11 settembre 2014

Clawerfield - Engines Of Creation

#PER CHI AMA: Cyber Industrial, Djent, Tesseract, Meshuggah
La scena svizzera sta crescendo veramente tanto con band interessanti che si affiancano ai vecchi classici, Samael, Eluveitie o Coroner. Sto parlando di act quali Abraham, Fate Control, Voice of Ruin e per ultimi, questi Clawerfield di Thun. Sonorità fresche e cariche di groove arrivano dalla piccola cittadina svizzera. Un concentrato di suoni cibernetici che si coniugano alla perfezione col djent dei grandi act mondiali. Dopo l'intro "Nautilus", che comunque anticipa le sonorità del quartetto elvetico, ecco l'attacco di "Emotion Zero": bei riffoni a dettare i tempi, ottime keys che disegnano atmosfere tra il cyber, l'industrial e lo space metal, e le vocals di Adrian Wasser che si muovono tra un fantastico growling, il clean e l'effettato elettronico. Meshuggah, Scar Symmetry e Tesseract, l'influenza di queste band converge nel sound, assai notevole, dei Clawerfield. C'è chi parla di modern metal, chi semplicemente di djent, a me piace pensare che questi ragazzi, al secondo album, abbiano centrato in pieno il loro obiettivo, in qualunque modo vogliate definire il loro genere. 'Engines of Creation' è un lavoro ammiccante che saprà catturarvi con le sue melodie ruffiane, con la grinta di chi vuole riuscire nel proprio intento e sa che ce la può fare. "Halo" ne è la dimostrazione palese: song mid-tempo che coniuga il rifferama aggressivo nord europeo con bei chorus, melodie catchy e qualche frangente synth pop. Preoccupati del risultato finale? Niente paura perché il quartetto spacca anche se a risuonare nel mio stereo c'è la traccia più paracula dell'album, "Drop RMX - Redemption (Drop RMX)", song orientata sul versante elettro industrial EBM. Con la title track si torna a ritmiche serrate, stop'n go e harsh vocals. L'animo dei Meshuggah prende nuovamente possesso dei nostri anche se non tardano ad arrivare i coretti, le voci pulite e le tastiere (e un ottimo assolo) a mitigare il temperamento ribelle della band del canton Berna. A chiudere l'elegante digipack, ecco la feroce "Symbiosis" che martella che è un piacere, mostrandosi alla fine come la song più abrasiva dell'album, dal carattere più forte e compatto, che non si nega comunque al versante più melodico dei nostri e in cui maggiormente entrano in gioco le influenze dei Tesseract, soprattutto a livello di atmosfere. 'Engines of Creation' si rivela un gran bel disco che potrà conquistare non solo gli amanti di queste sonorità dall'animo futurista. I Clawerfield alla fine sono proprio una piacevole scoperta di quest'ultimo scorcio d'estate, non c'è che dire. (Francesco Scarci)

(Self - 2014) 
Voto: 75 

Numbers - Three

#PER CHI AMA: Progressive, Metalcore, Post-metal, Periphery, Protest The Hero
Si chiama 'Three', ma questo lavoro dei Numbers (da Seattle) è in realtà il loro vero debutto come full-lenght, dopo due EP. Carne al fuoco ce n’è parecchia, fornita soprattutto da voci e tastiere, suonate entrambe dal frontman Kyle Bishop. La voce passa dagli harsh vocals (gestiti in modo per nulla banale) del metalcore ad interessanti costruzioni melodiche – timbro pulitissimo, fantasia, melodie catchy quanto basta, ottima tecnica soprattutto nel registro più alto. Le tastiere (onnipresenti nei brani e in quasi tutti gli intro e gli outro) insistono particolarmente su costruzioni di pianoforte e strings, limitando gli inserti industrial, di synth e drums elettroniche a pochissimi episodi. Il risultato è particolarissimo: un pianoforte che arpeggia su riff appena spruzzati di math e sfuriate di doppia cassa, dona un colore completamente diverso al brano. Non pensate quindi ad un clone di Fear Factory e Pitchshifter: l’atmosfera generale è tutt’altro che cupa e oppressiva, e le scelte stilistiche sono decisamente più orientate alla melodia prog e al postcore moderno che al metal pesante. I tredici brani passano velocemente, rivelando l’intensa personalità del quartetto di Seattle e l’omogeneità del loro stile pur nel mash-up di generi. Si passa da pezzi più melodici (“Thruth Bender”, “Recreate”) con ritornelli indovinatissimi a violenti episodi metalcore (“Sicken”, “Shortly Broken”), senza mai perdere il filo. Capolavoro assoluto resta “Undertow”: oltre 11 minuti di brano in cui i Numbers lasciano il giusto spazio a ciascuno degli strumentisti, costruendo un’architettura sonora a cavallo tra ambient, prog, jazz e metal, che lascia senza fiato dal primo all’ultimo minuto. Il disco chiude con un altro piccolo gioiello, “Ghost in the Room” – penalizzata forse dalla posizione nella tracklist – in costante tensione tra Protest The Hero, elettronica e con un inserto jazz da antologia. Batteria, basso e chitarra svolgono un buon lavoro, intendiamoci, pur senza nulla di particolarmente originale. Ma senza tutta questa tastiera “classica” – che darà senz’altro fastidio ai puristi del metal – e le incredibili capacità vocali e melodiche di Bishop, temo che i Numbers sarebbero solo un gruppo come tanti altri. Bravi e originali. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2014)
Voto: 75

Ushas - Verso Est

#PER CHI AMA: Classic Rock, Deep Purple, Led Zeppelin
Questo cd sembra essere arrivato dal passato, direttamente dal cruscotto di una Delorean munito di flusso canalizzatore che va a whisky e sigarette. Dico questo perché 'Verso Est' è un concentrato di hard rock inglese vecchia scuola, senza tanti fronzoli a livello di post-produzione, ma basato esclusivamente su chitarre, ritmica e voce che sale senza timore. A questo bisogna aggiungere del sano rispetto per la cultura orientale, come il titolo dell'album suggerisce e tanti anni passati tra fumosi locali con gentili donzelle che danzano sui tavoli e bicilindrici che rombano nel parcheggio. Il quartetto romano ripercorre il meglio dei Deep Purple e Frank Zappa, cantando in italiano e stando ben lontani da stilismi moderni. I suoni sono molto classic rock, come si può capire già dalla prima traccia "Fuorilegge" che scorre veloce con bei riff di chitarra e il cantato che domina ovunque. La voce è matura, ma raggiunge tonalità alte e si diverte a giocare con arrangiamenti in continua metamorfosi. Anche l'assolo conferma le doti tecniche del chitarrista e la sezione ritmica corre a perdi fiato, sostenendo il gioco. Intro e outro con un bel rombo di bicilindrico, a conferma del legame che unisce la band e il mondo delle due ruote. "Io Non Sono Qui" ci va giù pesante con una batteria lineare, ma che batte a più non posso e chitarre a profusione per un altro brano classico negli schemi e nello sviluppo. I cori arricchiscono un testo leggermente ripetitivo, ma dopotutto non bisogna sempre infarcire le canzoni con tematiche filosofiche. "La Via della Seta" è una ballad che ripercorre un ipotetico viaggio da occidente fino alla Cina, cullando l'ascoltatore con suoni delicati e riff ricchi. Un'altra bella prova che mette in luce le doti poliedriche dei nostri quattro musicisti capaci di mettersi in gioco anche con brani meno energetici, ma comunque godibili. "Maledetta Notte" torna a scuotere i nostri timpani con riff distorti che viaggiano a fil di rasoio con batteria e basso, mentre la voce vibra e urla furente per tutti i tre minuti abbondanti della traccia. Breve break centrale che permette all'ensemble di riprendere la struttura iniziale e chiudere dopo poco. Indubbiamente una band che potrebbe insegnare molto a livello tecnico e sonoro, anche se non si sposta molto da quei gruppi che hanno fatto la storia del rock anni '70. Brani ben suonati e allo stesso semplici, senza pretese e desiderio di lanciarsi in qualcosa di nuovo seguendo le mode del momento. (Michele Montanari)

(Agoge Records - 2013)
Voto: 70

Mindwarp – Mindwarp EP

#PER CHI AMA: Heavy Psych strumentale, Tool
Dopo quello, ottimo, dei Manthra Dei, l’italianissima Acid Cosmonaut Records dà alle stampe anche il debutto dei Mindwarp, confermandosi una delle realtà piú attente alle sonorità heavy psych della penisola e non solo, dato che le sue release stanno trovando ottimi riscontri anche fuori dei confini nazionali. I Mindwarp sono un trio (la formazione è quella classicissima chitarra-basso-batteria) di Brindisi, nato dalle ceneri dei Southern Cult, dedito ad un ispirato rock strumentale con fortissime componenti psych, che guarda sí ai classici del passato ma con i piedi sempre ben piantati in una contemporaneità che rende questo loro EP molto godibile e attuale. Pur penalizzate da una produzione non certo impeccabile, queste quattro tracce (per poco piú di venti minuti) si fanno apprezzare per compattezza, personalità e solidità di scrittura, doti queste molto difficili da trovare nella grande maggioranza delle uscite affini a questa per genere, anche in ambito internazionale. Come suggeriscono il nome della band e la disturbante illustrazione di copertina, i Mindwarp propongono una musica che asseconda e accompagna l’ascoltatore verso l’esplorazione di diversi livelli di coscienza. Quello che salta subito all'occhio è l’ottima tecnica dei tre musicisti – di cui vorrei sottolineare la prestazione “tentacolare” di Marco Mari dietro le pelli – sempre funzionale alla costruzione del brano e mai fine a se stessa. Un ottimo esempio di quanto detto sopra è "Haarko – Haari", che “sporca” di psichedelia "Floydiana" le progressioni geometriche dei Tool. E anche altrove i Mindwarp dimostrano di aver mandato a memoria le strutture che hanno fatto grande la band di 'Lateralus', tanto che in piú di un versante, sembra quasi ne propongano una versione strumentale (le stilettate chitarristiche di "Adrenochrome", la complessità di "Excuse Me, I Have to Go to Space Now", i tribalismi hard della conclusiva "Iramocran") ricordando in questo gli australiani Dumbsaint. L’unico versante sul quale, a mio avviso, c’è ancora da aggiustare il tiro, è la tendenza a lascianrsi andare quà e là a qualche atteggiamento da jam-band (ad esempio nella coda di "Adrenochrome", quando l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un’improvvisazione in studio non molto ispirata). Ma sono piccolezze, che nulla tolgono al valore di un lavoro dall'alto contenuto lisergico. Promossi in attesa di ascoltare un album intero. (Mauro Catena)

(Acid Cosmonaut Records, 2014)
Voto: 70

martedì 9 settembre 2014

Godsire - Progenitus

#PER CHI AMA: Melo Death, The Project Hate, primi Scar Symmetry 
Mi piacerebbe davvero sapere come Ettore Rigotti, mastermind dei Disarmonia Mundi, nonché produttore, sia venuto a contatto con questi Godsire, band melo death di Singapore, per la quale si è occupato del mastering di questo 'Progenitus'. Della serie il mondo è assai piccolo. Poco importa se le mie curiosità non possano venire soddisfatte, mi lancio all'ascolto di questo EP di 4 pezzi davvero avvincente ma dalla durata un pochino risicata, sedici minuti. Tanto basta infatti al trio formato da Ishaan Kumar (basso), Ty (chitarre e tastiere) e Clarence Chong (vocals), per convincermi della bontà del loro esplosivo sound che irrompe con la furia bestiale di "Panoptic Universe", in cui una bocca da fuoco sostituisce un drummer in carne ed ossa, mentre le chitarre incendiano l'aria che è un piacere. Come un bel panzer i nostri avanzano monolitici, tra un riffing serrato, growling vocals e tiepide melodie di sottofondo. Diciamo che è con la successiva "Cybernetic Wyvern" che mi esalto maggiormente della proposta di questi ragazzi. Vuoi per le tiratissime e gradasse chitarre, per un'effettistica di sottofondo affidata a flebili tastiere che guidano la linea melodica della canzone, o forse semplicemente per le vocals super aggressive di Clarence, ma il pezzo mi piace davvero molto. La carica energetica che emana, quella voglia di headbanging sfrenato che sonorità dell'ultima ora non ispirano più, mi mandano in visibilio. "The Crossed Out God" continua a pestare dannatamento, senza mai perdere però il senso della melodia, seppur qui la drum machine tocchi vette di robotica alienazione, con il pezzo che risente in un certo verso anche di influenze industrial, che già si erano comunque palesate nei pezzi precedenti. La song trova anche modo di interrompere per alcuni secondi il proprio ritmo incandescente, per poi riprendere con i bombardamenti finali che ci introducono a "Android Psycho Shocker", la traccia più folle e carica di groove del lotto, in cui maggiormente si sollevano le influenze elettroniche del trio asiatico, in definitiva la mia preferita. Non un momento di stanca, non un passaggio sbagliato, chiaro che con 16 minuti a disposizione, sia decisamente più facile non sbagliare. 'Progenitus' si conferma un ottimo antipasto a qualcosa di più succulento che non tarderà (lo auspico) ad arrivare. Bravi. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 75

Humut Tabal - The Dark Emperor Ov The Shadow Realm

#PER CHI AMA: Black/Thrash, Absu, Unanimated, Emperor
Humut Tabal, nel Pantheon mesopotamico, era il nocchiero degli Inferi, dotato di testa d'aquila, quattro mani e piedi. Da qui traggono ispirazione i nostri blackster texani, per quanto riguarda il loro monicker. Gli Humut Tabal vengono da Dripping Springs e 'Dark Emperor ov the Shadow Realm' rappresenta il secondo infernale lavoro dopo il debut del 2009 e un paio di split cd in compagnia di Weoran e Plutonian Shore. La band riparte là dove aveva lasciato, ma con una maggior consapevolezza dei propri mezzi, con un sound che da un punto di vista chitarristico, sembrerebbe provenire dalle lande scandinave, mentre nella sua globalità suona "Made in US" al 100%. Otto le tracce a disposizione per godere dell'oscura ferocia offerta da Grimzaar (chitarra, synth e voce), AED (basso) e il devastante Njord alla batteria. Le danze si aprono con la lunga "Across the Boundless Land ov Death", song che mostra una certa maturità a livello di songwriting e che abbina la brutalità del black americano (un po' influenzato anche dal death metal) con le taglienti melodie del nord Europa. Roboante nel suo incipit la seconda "Through the Forest and Twisting Shadow", song che si muove tra ritmiche maestose a la Emperor e un taglio vocale che sa di Cradle of Filth, stagliandosi su velocità al fulmicotone che vengono spezzate da un mid-tempo centrale, in cui a porsi in maggiore evidenza è il potente suono del basso e delle vibranti chitarre conclusive. Si continua a pestare con "Furious Winged Helldaemons Soar" song che miscela il thrash metal statunitense anni '80 con il black a stelle e strisce, pesantezza e velocità allo stato puro. Con "Alone, in Purest Silence", i ritmi tornano umani ma si innalza una coltre di fumo spettrale che mi richiama gli Absu in salsa svedese, e ci prepara alla violenza disarmante di "The Misanthrope ov the Barren Waste Becomes", scheggia impazzita che si muove tra gli Unanimated più corrosivi e l'imponenza degli Emperor. Colpi di artiglieria pesante aprono "Wielder ov the Daemon Blade", vi avevo accennato alla potenza di fuoco del drummer no? La song in realtà potrebbe essere comparabile ad una semi ballad (passatemi il termine vi prego) in stile primi Cradle of Filth, che comunque trova modo di sfociare in un gothic black dalle tinte sinfoniche. Con l'ipnotica "In the Shade ov Lord Satan's Wings" (in assoluto la mia traccia preferita) e la conclusiva folkeggiante title track, il tumultuoso sound degli Humut Tabal riesce a condensare tutte le proprie influenze in modo assai convincente: Emperor, Dissection, Cradle of Filth, Absu, Immortal, Testament e Black Funeral, finiscono tutti per sgomitare nei solchi di queste due song, defininendo nuove Colonne d'Ercole al genere. Humut Tabal, la rinascita dagli inferi. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 75

Twinesuns – The Leaving

#PER CHI AMA: Drone, Ambient, Sunn O))), Khanate, Wijlen Wij
Quando nel 1994 uscì 'Zero Tolerance for Silence' di Pat Metheny, questo destò molto clamore nel panorama musicale internazionale. Considerato una specie di stregoneria sonora, la sua indole sperimentale estrema non fu digerita da tutti, puritani e non, ma chi lo apprezzò lo fece veramente, gustando tutta la sua arte nel gettare le basi per i suoni della chitarra elettrica del futuro. Una musica controversa iper distorta fatta di una sola chitarra, disturbata e disturbante che portava le conoscenze tecniche del mitico Pat Metheny nei meandri allucinogeni di un altro chitarrista geniale, futurista, sperimentatore di distorsioni ai confini della realtà, il mitico Thurston Moore dei Sonic Youth. Dopo alcuni decenni le teorie e questo modo di intendere la musica, mescolato alle gesta eterne dei Black Sabbath, viene riesumato e sviscerato, rinominato e rivitalizzato con termini nuovi, come drone, ambient, doom, funeral, e finalmente portato alla luce e giustamente gratificato. Il duo svizzero composto da Thor Ohe e C., sfodera questo ottimo primo album licenziato via Hummus Records nel 2014 con annesso stupendo artwork, ricercato e curatissimo ideato dallo stesso Thor Ohe. Musica enorme, difficile, dall'animo antisociale, introspettivo e trasversale, oscura, meditativa, perversamente costruttiva, malata, fatta di sole chitarre atte a creare altissime muraglie e deserti infiniti di distorsione, rumori, feedback, suoni reali ed irreali al rallentatore, astratti e pesantissimi. Cinque brani mastodontici ideali per una fuga intrisa di misantropia, da gustare per la qualità di registrazione, non di facile accesso ai non iniziati al genere, aggressivi, funerei, e intrisi di doom. Inseguendo i pionieri Sunn O))) ed i Khanate, ripensando ai paesaggi depressi di Wijlen Wij e percorrendo la via mistica dell'avanguardia sperimentale, gustatevi questo signor album...e tremate, le streghe son tornate! (Bob Stoner)

(Hummus Records - 2014)
Voto: 75

lunedì 8 settembre 2014

Timestone - S/t

 #PER CHI AMA: Stoner Rock
Altra stoner band mittleuropea e precisamente un trio che si muove tra Linz e Berlino, giovani musicisti che si lanciano a capofitto nell'onirico mondo fatto di fuzz e basse frequenze con questo EP di tre brani. Tra le influenze dichiarate ci sono Pink Floyd e Neil Young, il che permette ai TIMESTONE di esplorare sonorità psichedeliche, distorsione meno sature a favore di una maggiore dinamica e profondità del suono. La chitarra infatti sfodera riffs al limite del post rock avendo così meno restrizioni dettate da un solo genere. E "All Wrong" conferma: il brano inizia con un arpeggio di chitarra ricco di delay e distorsione appena accennata. La batteria è molto minimalista, quasi synth pop, mentre il basso è un protagonista sommesso per grand parte del brano. Il vocalist interpreta bene il suo ruolo e sfruttando il suo timbro roco seppur non stagionato, enfatizza a dovere le atmosfere senza cadere nel ridicolo. Verso la fine il brano s'ingrossa, lasciandosi alle spalle i precedenti dieci minuti di calma apparente e lanciandosi in una breve cavalcata, quasi ad anticipare il lato ancora nascosto della band. "Shadow" è sicuramente il brano più riuscito, ben bilanciato e neanche troppo scontato a livello compositivo e di arrangiamento. Qui la chitarra si lancia in un bell'assolo che ricorda un tizio di nome David G., sia per suono che per struttura. Il basso è ben presente in tutta la registrazione, lineare e potente, mentre la batteria rimane forse troppo in disparte e il suono minimalista ruba profondità a tutto il lavoro fatto per gli altri strumenti. Spero che questo fatto si limiti alla registrazione dell'EP per motivi che posso solo immaginare, altrimenti è una scelta che può spiazzare. Nel complesso un EP che fa il suo dovere e presenta la band e le sue potenzialità. Aspettiamo il seguito. (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 70

Engulfed in Blackness - Ceremonial Equinox

#FOR FANS OF: Brutal Death Metal, Cannibal Corpse, Suffocation
One of the biggest and most impressive debuts in quite a while, this is an impeccable slab of Brutal Death Metal that should get them off to a great start in their career. Filled with absolutely amazing guitar-work that gets incredibly tight and technical with its rhythms, this feature has the album’s best quality pegged right off the bat as this demonstrates the band’s penchant for old-school riffing that carries an incredibly brutal edge here. It’s incredibly technical and blistering the way it manages to utilize those kinds of riff-patterns in here as the various patterns and arrangements are placed in the most exciting rhythms possible for this type of brutality as the multitude of riffing performances provide this with a rather dynamic vibe as both the thrashing technicality and brutality here get mixed together with a boundless energy. As well, the fact that it switches these tempos with a series of sprawling, Doom-like tempos causes this to get an extra sense of old-school brutality as the sickening, sprawling paces not only gives this an unexpected sense of melody by slowing down the intensity of the rhythms against the blasting full-throttle thrashing paces but also gives this a special dynamic by offering a varied form of attack that works exceptionally well alongside the rest of the material. By doing this extra attack-pattern along the different up-tempo variations furthers the darkened tone of this one by laying a thick, heavy tone here that really allows the dark, oppressive atmospheres to really flow throughout this which really amps up that old-school feel incredibly well. Bolstered by unrelenting blasting drumming, loud, thumping bass-lines and deep, guttural growls throughout this one it has the kind of throbbing, heavy bottom-end that carries the darker melodies and rhythms along with this kind of thrashing technicality to leave an imposing, overall enjoyable experience. The songs are just as good once it gets past the ‘Intro’ which gets things started with hellish sounds and vocals. Proper first track ‘Tortured Mentality’ showcases the band at its best with raging riff-work along dynamic tempo changes and furious drumming which really shows off the rather impressive soundscape in here. The short, brutal thrasher ‘Illusions of Anguished Awakening’ brings immediate drumming and furious razor-wire technical riff-work into a short, condensed version of their sound as the blistering tempos carry on throughout. Both ‘Condemned to Existence’ and ‘Vomit the Impulse’ are all about pounding rhythms, full-throttle tempo changes with complex riff-work and intense drumming blasting along frantic razor-wire patterns throughout. ‘Spawn of the Sacrilege’ goes back to their traditional round of tight drumming, furious technicality and being able to feature slower paces throughout before thrashing in the final half. The blistering ‘Enthrallment’ and the title track offer up charging technicality, intense thrash paces and heavy, ominous riffs along the thunderous drumming along the dynamic tempos for rather well-done tracks. ‘Echoes in the Chasm’ sends it all back where it came from by featuring blistering tempos and tight, sprawling rhythms along the raging riff-work for another all-together furious track to end this on a high-note. While it can cause this to blend together somewhat as the material can sound the same throughout, this is so competently played and enjoyable that it can overcome this quite easily. (Don Anelli) 

(Pagan Pride Records - 2014)
Score: 90

giovedì 4 settembre 2014

Violet Tears – Outside Your Door

#PER CHI AMA: Dark Wave, Xmal Deutschland, Ghost Dance, Spear of Destimy
Ultima fatica per questo combo italico di stanza a Bari, un lavoro raffinato e ben confezionato, licenziato via Ark Records nel 2013. La band risulta interamente devota al verbo malinconico e sognante della new wave di carattere gotico dei migliori anni ottanta, e forte della sua lunga esperienza ci regala quarantacinque minuti divisi in nove capitoli, di velata tristezza figlia del suono magico di act quali Xmal Deutschland, Ghost Dance (quelli di 'Spin the Wheel') e tanto dell'onda oscura italica lasciata da gruppi storici come Madre del Vizio, Undergrond Life e gli immancabili rimandi ai Diaframma di 'Siberia'. Due brani del catalogo sono cantati in lingua madre e questo conferisce un buon quanto diverso approccio al sound della band (più vicino allo stile canoro dei Calle della Morte), mentre nel resto dei brani la musica si affida ad una voce femminile di notevole estensione, con cantato in inglese, che unisce venature liriche classiche a forme più eteree, come se la mai dimenticata Giuni Russo avesse potuto interpretare brani di Cocteau Twins e primi Dead Can Dance. I suoni si calano perfettamente nelle partiture esuli e cristalline dal mid tempo solenne e glaciale, riscaldato da chitarre e tastiere spesso in linea con il suono dei The Cure più sognanti di 'Disintegration'. L'intero lavoro è attraversato dalle atmosfere insane degli Xmal Deutschland anche se i nostri risultano avere un carattere più classico, pacato, distaccato ed ethereal darkwave. L'effetto vocale è maestoso, disturbante ed ammaliante contemporaneamente, dal tono drammatico ed epico come lo era Kirk Brandon nei mitici Theatre of Hate o ancor più negli Spear of Destiny. Una culla di malinconica bellezza accarezzata da suoni sintetici, ovattati, lontani anni luce dalle false imitazioni di alcune band più famose dei nostri tempi moderni. Un sound ipnotico sorretto da un'ottima performance vocale che sovrasta splendidamente l'impianto strumentale, che reagisce con un suono derivativo, senza mai cadere negli stereotipi del genere o meglio, è così perfettamente new wave che suona come se fosse stato registrato nella sua epoca d'oro. Magari sarà per nostalgici vestiti di nero, dai capelli cotonati e laccati con lo sguardo triste, ma questo album offre emozioni reali ed una intimità crepuscolare degna di nota. Se volete fare un passo indietro, circa metà anni ottanta, ascoltando qualcosa di intelligente e di qualità, non esitate, 'Outside Your Door' farà per voi! (Bob Stoner)

(Ark Records - 2013)
Voto: 75

Narrow House - Thanathonaut

#PER CHI AMA: Doom Avantgarde, Virgin Black
Poco più di un anno e mezzo fa, il buon Kent recensì il primo atto funeral doom degli ucraini Narrow House e ora mi ritrovo sulla scrivania il secondo capitolo di questi folgorati (non sulla via di Damasco) ragazzi di Kiev. Di quel genere non è rimasto quasi più nulla se non un senso di oscura malinconia che mi pervade l'animo dopo il suo ascolto. 'Thanathonaut' è un lavoro che ha colpito nel segno sin dalla sua intro, in cui è un apocalittico violoncello ad assurgere il ruolo di protagonista. Con "The First Day of the Rest of Your Life" mi rendo conto che della proposta originale del quartetto è rimasta solo l'atmosfera decadente, mentre il sound dei nostri strizza l'occhio ad avantgarde e doom classico, il tutto estremamente curato in ogni minimo dettaglio. Ottimi i suoni, altrettanto le vocals pulite che si muovono su un interessante quanto mai oscuro tappeto formato da chitarra e sax. Ma è ancora il violoncello ad attirare la mia attenzione nella track successiva, "Furious Thoughts of Tranquillity", andandosi ad incastonare come uno splendido gioiello nell'architettura forbita di chitarra/tastiera e sax. Le song sono brevi e quindi è anche più facile gustare di tutte le sfumature di cui sono striate. E soffermandomi più attentamente su "The Midwife to Sorrows", non si può non percepire il refrain inconfondibile di "Extreme Ways" di Moby, colonna sonora della trilogia 'The Bourne Identity'. Sonorità folkish-avantgarde si uniscono a divagazioni di matrice jazzistica in "The Last Retreat", mentre le atmosfere gotiche e dark sono contemplate in tutto lo scorrere del disco. Tutti i generi ben si amalgamano nei 40 minuti di 'Thanathonaut' grazie alla bravura di questi musicisti, agli ottimi arrangiamenti e all'azzeccatissimo utilizzo di due strumenti che tornerei a sottolineare: sax (meraviglioso peraltro nella sua veste solistica nella title track) e violoncello. Il nuovo approccio musicale dei Narrow House ci regala un lavoro che viaggia una marcia in più rispetto al vecchio 'A Key to Panngrieb'. "A Sad Scream of Silver" è un altro brano strumentale dalla forte aura malinconica, mentre "Crushing the Old Empire" soffre di un leggero retaggio funeral. "Doom Over Valiria" funge virtualmente da pianistico outro del disco, visto che l'ultima traccia non è altro che una cover completamente rivista (e cantata anche in lingua madre) di "Renaissance" degli australiani Virgin Black, band di riferimento per i nostri eroi di oggi. Narrow House, il nuovo vento che arriva dall'est. (Francesco Scarci) 

(BadMoodMan Music - 2014)
Voto: 80

mercoledì 3 settembre 2014

Faces of Bayon – Heart of the Fire

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Doom, Cathedral, Warhorse, OM
Nel 2011 la Ragnarok Records presentava al mondo un ensemble americano proveniente dal Massachusetts, dedita ad uno stupendo e colossale doom carico di psichedelia, potenza e ipnosi. La band si chiamava Faces of Bayon ed il cd, 'Heart of the Fire', rappresentava un piccolo gioiellino nel genere. La sfortuna cadde sulla band l'anno stesso dell'uscita del disco e il trio vide lasciare definitivamente questa terra il batterista cospiratore di questo immenso lavoro. I nostri lasciarono nel bel digipack una giusta dedica alla memoria di Mike Davis scomparso nel gennaio del 2011. Ad oggi la band ha un nuovo batterista ed è in procinto di licenziare un nuovo lavoro sempre via Ragnarok Records. Ma ritorniamo a 'Heart of the Fire', album di cui possiamo solo esserne fieri e il cui ascolto è un salutare delirio per le nostre menti. Il disco si posiziona esattamente tra i Cathedral di 'Endytime', i Warhorse di 'As Heaven Turns to Ash', con una velatissima vena epica a la Candlemass e una mistica oscurità a la OM, ma senza mai sfiorarne il plagio. La band tocca vette altissime e il tutto risuona magistrale, dalla ricercata e curata disposizione dei suoni alla costruzione dei brani, che pur continuando nella ferrea strada del doom più ostinato, creano ponti psichedelici moderni ed innovatori, atmosfere surreali, sensuali e oscurissime (vedi la splendida "Godmaker!") con venature maledette care ai Crime and the City Solutions, immaginandoli suonare doom (la vedete "All Must be Over" in versione doom?!). L'intero disco non mostra lacune, un suono cavernoso, definito, potente, compresso e distorto contraddistingue una band da non sottovalutare e da non perdere assolutamente di vista. Cinquantadue minuti in sei brani interpretati da un'ottima voce dal tocco maligno e tenebroso, come se John Tardy degli Obituary avesse sparato a rallentatore le sue incursioni vocali, buone anche le parti vocali pulite e la batteria del compianto Davis è tutta da assaporare, stupenda! Chitarre e basso sono super ribassate, pesantissime e si muovono con passi da mammut, un mammut in riflessione strafatto di LSD. Suoni sperimentali sparsi qua e là miscelano il tutto, una vena tutta rock (cosa che li accomuna molto ai mitici Cathedral) non abbandona mai la scena per quanto buia e tenebrosa sia. Un rivoluzionario, costruttivo senso di vuoto ci pervade durante tutto l'ascolto che non annoia mai. Nel finale "A Fire Burns at Dawn" sconvolge l'ascoltatore con un barlume di speranza, descritto da una traccia più solare e capeggiata da un sound cristallino che comunque svanisce in poco più di due minuti. La musica del destino non è per tutti ma questo è un lavoro che dovrebbe essere preso ad esempio da tutti, devoti e profani. In trepida attesa del prossimo disco ci affoghiamo tra le note di questo cosmo sonoro dilatato e oscuro. Una chicca nel genere! (Bob Stoner)

(Ragnarok Records - 2011)
Voto: 80