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sabato 9 settembre 2023

Ibridoma - Norimberga 2.0

#PER CHI AMA: Heavy/Thrash
Ci arriva con oltre un anno di ritardo l'ultimo lavoro dei marchigiani Ibridoma, intitolato 'Norimberga 2.0'. Un lavoro, il sesto per la band, che mantiene inalterate le caratteristiche di base del combo italico, ossia un heavy metal bello tosto, cantato prettamente in inglese ma con qualche eccezione in italiano (ad esempio nella palesemente influenzata dai Megadeth - era 'Countdown to Extinction' - "Ti ho visto andare via"). Il full length si muove lungo dieci pezzi che dall'iniziale e già citata "Ti ho visto andare via", giunge alla conclusiva "Eyes of the Stranger", in quasi 40 minuti di sonorità che confermano quanto i nostri siano a tratti solidi e rocciosi nella loro proposta, genuini e forse per questo ancora un po' troppo poco maliziosi, nonostante 20 e passa anni di carriera. Con questo voglio dire che sebbene ci siano sonorità interessanti, belle linee di chitarra o taglienti assoli, buone melodie (e penso a pezzi come "Woman From the Stars", la massiccia title track, con tanto di voci growl, o ancora alla carica di groove "House of Cards"), trovo ci siano cose che suonano troppo obsolete in un contesto musicale che è in costante e rapidissima evoluzione. Le vocals del buon Christian Bartolacci ad esempio, fatico a digerirle, troppo ancorate ad un passato italico che vedeva la figura dei vocalist sempre deficitaria e qui, in tutta franchezza, la voce acuta del frontman sembra essere ancora l'elemento penalizzante per i nostri. Non me ne voglia la band, forse non sarò avezzo al loro sound, ma senza il cantato di Christian e con un qualcosa più personale e di impatto a livello musicale, li avrei ascoltati molto più volentieri. Poi c'è il problema di quei brani più mollicci, leggasi "Coming Home", "Where Are You Tonight" o la conclusiva "Eyes of the Stranger", che proprio mi portano a sbadigliare dall'inizio alla fine, fatto salvo per eventuali bridge e assoli di chitarra. Poi il quartetto si riprende lo smalto migliore con una più arrembante "Into this Sea" che mi evoca spettri di Annihilator, Pantera e ancora Megadeth, soprattutto in alcuni episodici utilizzi della voce. Risultato godibile per carità, ma avrei gradito qualcosa di più ricercato, sfrontato direi e accattivante altrimenti, esaurito un paio di ascolti, il cd rischia di finire nel dimenticatoio dove conservo altre tonnelate di dischi. Ci pensa tuttavia l'ottima ritmica di "Pandemia" a restituire quel filo di positività che mancava al lavoro, anche se le corde vocali del cantante, meriterebbero qui una revisione. Il disco alla fine non è malvagio, soprattutto a livello tecnico-compositivo. Certo, necessiterebbe di una serie di aggiustamenti a molteplici livelli, ma sono certo che i fan degli Ibridoma, che nel frattempo l'album, in questo anno abbondante, devono averlo ascoltato e consumato, non se ne lamenteranno. Quelli che invece si avvicinano alla band per la prima volta ecco, se non hanno un background profondo come quello del sottoscritto, beh un ascolto potrebbero anche darlo. Chi vive invece di pane e metal sin dagli anni '80 (e parlo ancora del qui presente), di lavori del genere ne ha ascoltati a bizzeffe e preferisce ancora oggi i più datati originali. (Francesco Scarci)

(Punishment 18 Records - 2022)
Voto: 64

https://ibridoma.bandcamp.com/album/norimberga-20

domenica 24 novembre 2013

Untimely Demise - Systematic Eradication

#FOR FANS OF: Death Metal, Kreator, Sodom, Holy Moses
Canadian-born but certainly Germanic-worshippers, Untimely Demise offer up their second album, 'Systematic Eradication', and it shows the band is really starting to come into their own with this sound. More often-than-not, the band decides to thrash away with a series of darker, more intense thrash-styled riffs that are eerily familiar to those that follow the route of the German thrash bands from the 80s, and in conjunction with a harsh, almost Black Metal-like growl to the vocals that were commonly used in both Kreator and Sodom at the time rather than the American scene which utilized a lot more clean-singing vocals which gives this a lot more of a dark, heavy tone that is hardly utilized in the acts which follow the American format. The band indeed seems to have learned the lessons well from these Teutonic forbearers with a series of strong, fast-paced tracks that whip throughout their running time with lightning-fast riffs, pounding drumming and a rather familiar buzzing bass tone that creates an image of “Kill with Pleasure”, “Agent Orange” and “The New Machine of Liechtenstein” in their prime, as "Spiritual Embezzlement", "Somali Pirates" and "A Warrior’s Blood" all demonstrate quite ably. Not content to simply dishing out the same formulaic approach, there’s a few curveballs thrown in for good measure, as "The Last Guildsman" attempts to experiment utilizing the harsher vocals in a more melodic role against atmospheric riff-work while still incorporating elements of thrash into the mix, and at times it’s a fine track while there’s some rather off-kilter ones as well. "Redemption" meanwhile attempts to play with a series of different tempos and guitar variations to "Navigator’s Choice" which features some more slower-paced rhythms that switches back-and-forth into frantic thrashing which at least demonstrates some different ideas that could come into play later on. It’s not a bad offering from a group of newcomers, and I suspect album three is where they’ll hit their stride. (Don Anelli)

(Punishment 18 Records - 2013)
Score: 80

https://www.facebook.com/UntimelyDemise

mercoledì 17 luglio 2013

Hellstorm – Into the Mouth of the Dead Reign

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Destruction, Celtic Frost, Kreator
Attivi fin dal 1997, i milanesi Hellstorm hanno dato alle stampe un demo, un EP e due full lenght, di cui l'ultimo dal titolo "Into the Mouth Of the Dead Reign" uscito nel 2012 per la onnipresente etichetta italica Punishment 18 Records. "Into the Mouth of the Dead Reign" è un album che merita grande attenzione e mette in luce una band veramente interessante, capace e determinata. La caparbietà di questa band ha fatto si che l'anima dei Destruction, l'irruenza dei Kreator e la morbosita di certi Celtic Frost arrivassero a fondersi sfoderando una decina di brani variegati e intelligenti in sapor di horror movie e metal, tanto metal. Tantissimo metal!!! Possiamo dire che gli Hellstorm suonano thrash, che hanno influenze death e hanno un chitarrista fantasioso e ricercatore di riff al vetriolo sapiente come pochi, un ottimo cantante, che mostrano un gusto per la ritmica d'insieme con un risultato finale davvero efficacissimo; gli assoli sono bellissimi con suoni claustrofobici come solo i Celtic Frost di "Morbid Tales" riuscivano a fare ma la cosa più importante è che questa band ha la stoffa per suonare questa musica nel modo migliore e l'attitudine perfetta per fregiarsi dell'etichetta di metal band come solo i grandi gruppi possono avere. Dentro questo lavoro si trovano un sacco di spunti splendidi. La potente "Dead Walk" dopo l'intro iniziale di rito parte in modo allucinante con ritmiche di chitarra da strapparsi i capelli! "The Deepest Night" (la nostra preferita) sciorina degli assoli splendidi e mostra un tiro spaventoso. La dirompente "The Wicked Mirror" è un mid-tempo doom con assoli sputa fuoco e una grinta che va avanti a spada tratta fino alla finale decima traccia "Journey to North", una ballata malinconica, epica e riflessiva che incorona i 42 minuti circa di questo maestoso lavoro dall'anima forgiata nel metallo più puro. La sensazione che ci resta alla fine di questo album è la stessa di quando si ascoltano i maestri luminari come Wasp, King Diamond o Dio, eminenze sacre del regno metallifero. Gli Hellstorm suonano thrash alla grande, non suonano come cloni, sono originali, oscuri, vivono e sudano la loro musica e si sente. Il combo lombardo alla fine confeziona un disco maturo, credibile dall'inizio alla fine, godibilissimo, pesante e accessibilissimo, da ascoltare tutto d'un fiato e ad alto volume. Un album per chi ama il metal, imperdibile! (Bob Stoner)

(Punishment 18 Records)
Voto: 85

http://www.hellstorm.it/

sabato 8 giugno 2013

Lunarsea - Hundred Light Years

#PER CHI AMA: Melo Death, Dark Tranquillity, Insomnium, Kalmah
Mi sono domandato più volte che fine avessero fatto i Lunarsea. Dopo cinque anni, la risposta l’ho ricevuta inaspettatamente e quando ormai le speranze erano scemate, con “Hundred Light Years”, che ci riconsegna una band in forma smagliante, con la voglia di recuperare il tempo perduto, continuando idealmente il discorso musicale incominciato con “Route Code Selector”, album che accese definitivamente il mio interesse verso la band romana. Dopo i presunti cambi di line-up, uscite e re-ingressi, lo stabilizzarsi della formazione, l’act capitolino fa uscire questo lavoro: trattasi di un concept cd dalle tematiche spaziali, che inizia dando proprio la definizione di anno luce e spiegando che quegli “Hundred Light Years” vorrebbero rappresentare quei momenti in cui le persone si sentono lontano da tutto, dalle loro passioni, dal lavoro e dai propri cari. E il viaggio alla velocità della luce, inizia con la magnetica intro “Phostumous”, a cui segue a ruota l’esplosiva “3 Pieces of Mosaic” che conferma la fedeltà dei nostri al death melodico, di cui i Dark Tranquillity degli esordi e gli Heaven Shall Burn, ne rappresentano la summa massima, anche in fatto di ispirazione, con ritmiche vorticose, chitarre taglienti e un dualismo vocale che lascia solo il chorus alle poco convincenti cleaning vocals del bassista Cristian Antolini, forse vera pecca di un album quasi perfetto. “Next and Future” è un altro pezzo ringhiante, più nervoso per i suoi continui schizoidi cambi di tempo, ma meno aggressivo del precedente, in grado di regalarci uno splendido (ma piuttosto breve) assolo. Ma è con “Ianus” che i nostri iniziano ad impressionarmi: i suoi suoni sono del tutto non convenzionali, pur incarnando sempre lo stereotipo del death svedese. Qui, il quintetto italico alza l’asticella e offre musicalmente parlando, quanto di meglio in Europa si possa trovare in questo momento, sublimando quelli che erano i maestri del genere, i Children of Bodom. Potenza, melodia, ed epicità, permeano in modo gustoso il riffing di questo brano, che finalmente offre un lungo solo conclusivo, che fa rizzare i peli sulle mie braccia in un tumultuoso finale evocativo, spezzato esclusivamente dall’arpeggio di una chitarra. “Sonic Depth Finder” è un’altra sonora mazzata nei denti in fatto di robustezza delle ritmiche, in cui a mettersi in luce è di fatto la prestazione mostruosa dietro alle pelli di Alfonso Corace, soprattutto nell’impetuosa conclusione. Con “As Seaweed”, il sound dei nostri assume connotati più apocalittici, con una ritmica vorticosa e serrata, funambolici stop’n go che non fanno che evidenziare l’enorme potenzialità tecnico compositiva del combo della capitale, il solito connubio vocale e la comparsa, in veste di guest star, di Emanuele Casali (DGM, Astra) e Martin Minor (pianista tedesco), al pianoforte, con un magistrale break centrale, connubio della scuola Dark Tranquillity/Children of Bodom e Kalmah, e nel malinconico finale. Se con “Pro Nebula Nova” si torna a ricalcare i dettami dello swedish sound, con “Aphelion Point” la proposta dei Lunarsea, si infila in altre strade più “alternative”, con la comparsa del bravissimo Tim Charles (Ne Obliviscaris), in veste di ospite, che ci offre un assolo conturbante e romanticamente tragico di violino, una splendida chicca, impreziosita dal successivo assolo di Fabiano Romagnoli. Uno spettrale parlato “Spatia devinco, disiuncta coniungo”, apre la penultima “Palindrome Orbit”, un'altra track in cui a mettersi in luce sono le dinamiche scale in cui ad inseguirsi è il duo di asce, che contribuiscono a donare qui, come nel resto dell’album, un concentrato grooveggiante pazzesco. A chiudere “Hundred Light Years”, ci pensa “Ephemeris 1679”, song dall’apertura maestosa, grazie alle sempre ottime orchestrazioni, un pezzo che ci lancia definitivamente nello spazio siderale profondo pensato dai Lunarsea. Ci mancavate, ben tornati ragazzi! (Francesco Scarci)

(Punishment 18 Records, 2013)
Voto: 80

http://lunarsea.bandcamp.com/music

lunedì 4 febbraio 2013

Inverno - Inverno

#PER CHI AMA: Thrash Metal, Overkill, Lazarus A.D., Bonded by Blood, Sacred Reich
La label italiana Punishment 18 lancia sul mercato questa nuova band vicentina dedita ad un trashcore molto interessante. Un solo demo di debutto intitolato “Thrashgressive” e questo fresco album del 2012 che porta il nome della band come titolo e praticamente tutti i canoni della musica rumorosa della Bay Area anni '90. Il lavoro è ben articolato, sprizza sudore da tutti i pori e mostra riff e cori da incorniciare. Anche se l'originalità non è proprio di casa e a volte certi passaggi ci sembra d'averli già sentiti altrove (in questo genere il rischio è molto alto!) i nostri sono dei bravissimi esecutori e prosecutori impeccabili di un genere che ha fatto storia. Buoni gli stacchi più bui e soft ma ovviamente il tiro è la loro arma migliore. Un sound secco e tagliente, rimodernato sulla scia di band che hanno riportato in voga il thrash negli ultimi anni come Bonded by Blood o Lazarus A.D. e un cantato ben fatto sullo stile hard core degli anni '80 e gli Slayer ultima versione. Il suono è molto moderno e carico di violenza, gli assoli da manuale, la batteria è un martello pneumatico, la voce ruggisce bene e tutto è al posto giusto ma forse per ricreare perfettamente quei bei tempi ci voleva un sound più sporco e impastato d'asfalto. Comunque vediamo che la band opta per un suono si derivativo ma comunque originale anche nel mixaggio, con uno sguardo al passato ma rivolti al futuro, cercando di dare nuova vita ad una musica che ha già dato tanto. Il fatto è che gli Inverno sono riusciti nel loro intento e hanno svolto il loro compito egregiamente sfornando un album con i fiocchi denso di stereotipi ma visti sempre da nuove angolazioni, rielaborati, pieni di adrenalina e dopo variegati ascolti si scoprono ritornelli e riff che risultano irresistibili come se Sacred Reich e Overkill suonassero covers dei mitici Negazione seconda fase (quelli meno hardcore che cantavano in inglese per capirsi). “Lager” è il nostro brano preferito così melodico, variegato e tirato da far paura! Una band con tanti assi nella manica e sicuramente da considerare una nuova promessa nel panorama thrash metal italiano. (Bob Stoner)

(Punishment 18 Records)
Voto: 75

http://www.myspace.com/invernometal

Phobic - The Holy Deceiver

#PER CHI AMA: Death apocalittico, Immolation, Incantation, Avulsed, Autopsy
Nel 2012 la label italiana Punishment 18 riporta nei nostri lettori cd, una band lombarda che, nata nel lontano 1997 e dopo il full lenght del 2002 intitolato “Sick Bleamished Uncreation”, si è schiantata in una serie di intoppi da far slittare fino ai nostri giorni questo bellissimo seguito intitolato “The Holy Deceiver”. La band si colloca sicura nell'ambientazione a lei più consona, ovvero il death metal vecchia scuola. Là dove erano rimasti, come se il tempo non fosse mai passato, nei primi anni '90, l'epoca di Incantation o Immolation, quell'epoca disturbante, sacrilega, macerata e putrida. Il cd suona benissimo anche perché gode di una produzione di tutto rispetto e modernissima. Drumming tiratissimo, chitarre che stendono tappeti devastanti e un growl praticamente perfetto e impeccabile. Ossessivo e pieno di intensità l'intero album non ha cadute né di stile né di potenza mantenendo la carica propulsiva dall'inizio alla fine, catturando inevitabilmente l'ascoltatore e accompagnandolo in un tormento nero e massacrante. Un lavoro che tiene costantemente l'ago della bilancia in equilibrio e che spicca di personalità. In un genere inflazionato da cloni questo album, di 38 minuti circa, emerge e difficilmente passa inosservato anche per le sue qualità compositive e canore (ottime le parti vocali di Theharian già impegnato anche con la chitarra!) che catturano e si lasciano ascoltare senza risultare ostiche pur mantenendo tutti i dettami del genere in questione. Echi di Avulsed e Autopsy, un velo leggerissimo dei primissimi Paradise lost (quelli di Lost Paradise) e tanto sound claustrofobico, anticlericale e tombale spingono questo lavoro impeccabile frutto di tanta passione, tenacia e abilità. I Phobic esigono tanto rispetto e dopo tutto questo tempo sono tornati a riprendersi il merito che gli spetta. Una band granitica e capace di fare grandi lavori come questo “The Holy Deceiver” carico di sentimenti e sudore, potenza e velocità, un ruggito oscuro che non deve passare inascoltato! (Bob Stoner)

martedì 15 gennaio 2013

Mad Maze - Frames of Alienations

#PER CHI AMA: Thrash Metal
Attenzione! Attenzione! Se vi infastidisce il thrash metal tout-court, potete agilmente evitare questa recensione: “Frames of Alienation” non fa per voi. Se invece provate anche solo simpatia per questo genere, ultimamente un po’ meno sotto le luci dei riflettori, un ascolto vi farà benissimo. I modenesi Mad Maze, scritturati dalla Punishment 18 Records, debuttano con questo full lenght. È un esordio dal quale si percepisce l’amore (anche troppo incondizionato) della band verso il thrash. Non è nulla di clamorosamente nuovo, ne è uno di quegli album che ti fanno girare la testa: ma la passione per il genere e del rispetto dei suoi canoni salta veramente all’orecchio. Ecco qui un disco potente, aggressivo e ben suonato, sebbene non si sciorinino tecnicismi stratosferici. Un CD di un thrash che di più non si può, che ne rispetta tutti i canoni e che, in alcuni casi, li gonfia pure un pelo troppo. Dov’è la pecca maggiore? Qualche caduta di stile è certamente da mettere in conto, si tratta sempre di una prima opera di ampio respiro, tuttavia il vizio è la mancanza di quella freschezza che permetterebbe di dare al disco una sua anima, risultando ben più che gradevole. Poco male, almeno secondo me. Sì perché mi è piaciuto calarmi completamente nei loro riff tiratissimi e martellanti, nel loro ritmo dalla velocità supersonica, nelle loro accelerazioni che evitano i noiosi appiattimenti (sono un pericolo sempre dietro l’angolo). La parte vocale mi ha lasciato una certa sensazione di freddezza, credo dovuta a una performance troppo monocorde del cantante. Anche la struttura delle songs mostra qualche segno di ripetizione ma questo è, forse, più un problema legato al genere. Ciò non esime i nostri dal cercare di essere più incisivi nel songwriting. Tra le tracce, tutte piuttosto coerenti con lo stile, svettano la strumentale (e più melodica) “… Beyond” e la violenta “Walls of Lies”. Pollice verso per la pesantissima “Cursed Dreams”. Nota a margine per la copertina di Ed Repka: bellissima. Questo lavoro mi ha affascinato, e mi lascia ben sperare per un futuro miglioramento stilistico dei nostri. Altrimenti, possa la creatura dell’artwork rendere le loro notti insonni e le loro digestioni pesanti. (Alberto Merlotti)

(Punishment 18 Records)
Voto 75

https://www.facebook.com/madmazethrash

sabato 1 dicembre 2012

Penthagon - Penthagon

#PER CHI AMA: Thrash, Speed
Dice: Alberto, ma a te non va mai bene quasi nessun disco, c’avrai mica la puzza la naso? Sarai mica uno dei quei criticoni mai contenti? Oddio, volete fare un album che mi piaccia? Non saprei dirvi perché dovreste, nel caso potete prendere tranquillamente spunto da questo esordio dei bresciani Penthagon. Il gruppo nasce nel 2008 e, cresciuti a pane e metal statunitense, ci scodellano la loro prima fatica: a me è piaciuta. Un lavoro che definirei di un thrash compatto e diretto, non troppo ricercato o barocco, ma con quella giusta dose di varietà (ora più verso lo speed, ora più verso l’heavy) che serve a non rendere noioso l’ascolto. Molto azzeccati i riff al rasoio delle chitarre, notevole la parte ritmica sempre con un buon equilibrio. Il singer Marco Spagnuolo è la caratteristica più notevole dell’ensemble. Una voce dirompente, particolarmente duttile che si esprime in tutta la sua ampiezza, sebbene non sempre con risultati del tutto convincenti. Tra le canzoni indicherei “Labyrinth of Fire” e “Shine Like the Sun” come le meglio riuscite. Come non citare la cover finale di “Innuendo” dei Queen; i nostri rimaneggiano il classico (classico? oddio sono vecchio!) in maniera originale. Il cantante riesce a portare la sua performance su di un binario tale da evitare confronti col compianto Freddy Mercury. Una pecca del ciddì la si trova nella produzione non particolarmente pulita, che nasconde purtroppo la bontà del prodotto. Un vero peccato per un disco d’esordio, dove tutto dovrebbe essere al massimo per scuotere il globo terraqueo. Consiglierei anche di asciugare un pochino le song, più brevi credo guadagnerebbero in potenza. Aspetto fiducioso i Penthagon al varco con la loro prossima fatica. Ecco, come vedete non è che serva poi molto per fare un ellepì che mi piaccia... no aspettate, sono davvero un criticone incontentabile. (Alberto Merlotti)

(Punishment 18)
Voto 70

http://www.penthagon.net/

mercoledì 7 novembre 2012

Absinthium - One for the Road

#PER CHI AMA: Thrash, Heavy, Megadeth, Testament
Sono lì, controllo alcune cose del mio disordinato tavolo, e mi cade l’occhio sull’artwork di questo “One for the Road”. Penso: una taverna abbastanza oscura, una figura fatata dalla ragguardevole sensualità, un uomo disteso su un tavolo per colpa di un bicchiere di assenzio... mmm mi sa che qui andiamo sull’etereo, sull’impalpabile. Va bene, un po’ cauto metto il CD nel lettore, mi armo di cuffie e parto all’ascolto. Qui mi rendo conto che quella copertina è fuorviante: mi ritrovo infatti con otto canzoni thrash/heavy molto consistenti. Primo LP per i campani Absinthium, alle loro spalle hanno una storia iniziata nel 2003 e due demo (rispettivamente nel 2006 e nel 2009). Vari cambi nella formazione, e la scomparsa del singer Luca Cargiulo, hanno portato alle line-up attuale: Alessandro Granato alla voce, Franco Buonocore alle chitarre, Dario Nuzzolo al basso e Tommaso Ruberti alla batteria. Il primo ascolto mi lascia freddino, invece i seguenti mi convincono a) della bontà del loro operato b) del fatto di essere ubriaco al primo ascolto. Sopra dicevo della struttura delle tracks, ecco sono piuttosto influenzate dal metal degli anni ottanta e primi novanta. Attenzione non siamo alla clonazione dei classici gruppi del periodo (Megadeth e Metallica in primis), però l’ispirazione si è quella lì. La band fa un buon lavoro, si possono scorgere contaminazioni di altri generi con risultati spesso gradevoli e interessanti. Le tracce sono potenti e solide, si appoggiano su dei riffoni tiratissimi, ben eseguiti e nel complesso non troppo banali. Il cantato vi si amalgama bene: è pulito, evocativo e piuttosto orecchiabile. Decisamente quadrata la parte ritmica, regge adeguatamente il tutto. Ne esce una miscela heavy-thrash niente male, naturalmente ci sono momenti esaltanti e altri più aridi, l’insieme mi colpisce positivamente. Si sente la volontà di non appiattirsi dal punto di vista compositivo: i cambi di atmosfera, gli stacchi, gli assoli (classici, semplici, ma ben eseguiti) ne sono la prova. Cito, tra i pezzi, “H.A.I.L.” e “Mr. Nothing” con i loro buoni fraseggi. Ritengo però “Skull” la migliore del mazzo, la cui introduzione melodica, fa da contraltare alla sua susseguente esplosione, i cori e l’assolo morbido poi ne fanno il punto più alto del disco. Pollice verso per “Circular Saw” e l’inutilmente lunga “Black Gown”. Una prima prova che mi convince, piuttosto semplice nella parte della scrittura delle canzoni, ma ben suonata, ben prodotta, direi priva di grandissimi cali, ma che pecca di un qualcosa che possa colpire. Il titolo dell’album dovrebbe riferirsi all’ultimo bicchiere (no, fermi con gli oggetti contundenti, Nikki e Max Pezzali non c’entrano) da bersi prima di un lungo viaggio: ora mi auguro che il lungo viaggio sia una loro tournée, e non una loro assenza dalle sale di incisione. Mi aspetto un nuovo lavoro più deciso e personale. (Alberto Merlotti)

(Punishment 18 Records)
Voto 70

lunedì 16 luglio 2012

Delirium X Tremens - CreHated from NO_thing

#PER CHI AMA: Death/Black, Obituary, Celtic Frost
Questo lavoro mi arriva solo adesso e con immenso piacere scopro che nel lasso di tempo successivo alla sua uscita, il combo bellunese ha sfornato un nuovo cd (già recensito su queste stesse pagine) con sbocchi folk/epici, tratti dalla musica folkloristica dolomitica che sembrano aver riscosso buonissime critiche. Il lavoro esce per l'etichetta Punishment 18 Record nel 2007 ed è un esempio di come anche in questo paese si possa, lavorando sodo, ottenere degli ottimi risultati dal nulla. L'ambiente sonoro è un death/black mischiato con pregio, è un sound carico mai votato al caos e intensamente cinematografico. Il mid tempo la fa da padrone e rende tutto molto appetibile: al secondo minuto del primo brano si entra in un ponte carico d'atmosfera che la dice lunga sul modo di concepire il metal dei nostri “tagliaboschi”, la ripartenza è violentissima. Si sentono echi di Obituary e Celtic Frost, qualcosina di Voivod nella seconda traccia e a seguito di un growl pesantissimo su chitarre macigne, i DXT introducono un passaggio d'ambiente molto ricercato e cantato in italiano dal retrogusto ”Meshugghiano”, a dir poco impressionante, poi di nuovo all'arrembaggio ma con stile, senza trascendere nel banale. La cosa che contraddistingue questa band è proprio il gusto visionario di rendere l'ascolto del metal come la visione di un film. Manca completamente la volontà di far divertire “spaccando”, e questo li rende decisamente intensi. L'uso dell'effettistica sulle vocals, su alcune parti della batteria e suoni digitali a rinforzo dei brani, li rende così astratti, industrial e filmici che potremmo definire la loro musica la colonna sonora di “Blade Runner” in metal. Il cd non fa una piega, non ha lacune: è un concept album sull'autodistruzione dell'uomo e quale migliore musica potrebbe identificarla? Ascoltate il brano “DXT Chamber” e ditemi se l'ennesimo spettacolare ponte centrale, con tanto di assolo alla maniera del buon Gary Moore e le voci di rinforzo alla “Cradle of Filth”, fusi al growl pesantissimo del cantante Ciardo, su chitarre stile Obituary non sia il massimo! L'architettura chitarristica è ben strutturata e spazia tra folate black metal e death senza mai esagerare in velocità e “ginnastica virtuosa”, ricercano sempre la melodia anche se super compresse e distorte, un sound organizzato e complesso, gli assoli sono brevi e incisivi e “sfondano” anche nelle parti più soft. Anche se la musica risulta complessa, non siamo di fronte ad alcuna forma di progressive e nemmeno abbiamo una devastazione sonica in puro stile grindcoreg, qui si parla di Death metal con la D maiuscola, intenso e significativo, con tanta energia e idee rubate all'industrial! Ascoltate l'evoluzione di “CyberHuman” dal minuto 2:50 e vi farete un'idea di come “Immolation” e “Godflesh” possano coesistere nello stesso brano. Il brano “15469” sembra un esperimento d'ambiente cinematografico mentre “New Clear Files” mostra tendenze brutal. La traccia n. 9 dal titolo “...Inside me” è un caterpillar impazzito, forse la più classica per lo stile della band, anche se l'assolo centrale è degno di particolare nota per il suono usato. “Convulsion” è un esperimento di un minuto e quarantuno e parte con rumori elettronici e voci digitalizzate per poi lasciare spazio ad una voce clone del più acido Marylin Manson. Il tripudio riparte con “Crionica” scritta da Giuliano e Nicolas dei veneziani “Ensoph” che chiude il cd con altre ben 14 tracce vuote, lasciandoci molto soddisfatti e ansiosi di ascoltare l’ultimo lavoro di questi ragazzi che, come scrivono nella loro maglietta, sono i fieri portabandiera del “Dolomitic Death Metal”! Azionate il “Death-onatore”! (Bob Stoner)

(Punishment 18 Records)
Voto: 80

http://www.deliriumxtremens.com

lunedì 2 luglio 2012

Warmblood - Timor Mortis

#PER CHI AMA: Brutal Death, Necrophagist, Dying Fetus
I lodigiani Warmblood si ispirano per questo loro secondo full-lenght al grande Lucio Fulci. Purtroppo questa premessa non mi farà piacere di più l'opera da loro proposta. Appena inserito il disco, come quasi sempre, da buon bassista, attendo ansiosamente di ascoltarmi le tracce di basso. Qua però non riesco a cogliere le frequenze. Dopo aver provato quattro diverse postazioni musicali rinuncio, e per sapere dove è stato registrato, noto nel booklet che è proprio il bassista a mancare. Leggermente colto dalla disperazione, tuttavia consapevole della mia sanità mentale ed uditiva, mi accingo allora alla completa scoperta dell'album. La mancanza di basse frequenze però non è l'unica cosa a colpirmi negativamente. In primis, la voce gutturale che in certi frangenti arriva ad un fastidioso pig squeal. Di notevole rilevanza di contro, le linee di chitarra. Più che sul death metal qua sarebbe più consono parlare di thrash, non solo come linee compositive, ma anche come brillantezza di suono e di tonalità. Un'altra grande sorpresa si ha quando il trio lombardo arriva a completare le proprie opere con melodie ed intermezzi neoclassici assolutamente fuori luogo, aggiungendo sapientemente in certe occasioni strumenti come violoncello o pianoforte. Di certo non aiuta una produzione secca in questa release già priva di profondità. Il vero intralcio di questo disco sono le strutture. Le ritmiche non cambiano, i riff tendono all'omogeneità, la batteria pesta ma senza grande risalto, nel prolungarsi anche nelle originali parti melodiche che perdono tutto il significato e freschezza. Purtroppo questa formula caotica finisce col rendere poche canzoni degne di un ascolto apprezzabile. Rimandati! (Kent)

(Punishment 18 Records)
Voto: 55

Legen Beltza - Need To Suffer

#PER CHI AMA: Thrash, Exodus, Kreator, Testament
Non lasciano scampo questi Legen Beltza. Un tupatupa attaccato l'altro. Cari amici, vi dico già di ascoltarli solamente se siete dei veri thrasher e non gente che, giustamente, si annoia dopo il trillionesimo riff così veloce da sembrare quasi uguale ai precedenti, o per la classica voce urlata e una batteria che conosce poco oltre il charleston ed il rullante. Il gruppo basco con questo “Need To Suffer” è arrivato al quarto full-lenght di una pluridecennale carriera. Si vede bene però che i quattro ragazzotti dalla penisola iberica sanno fare il loro lavoro, perché, nonostante la classica monotonia del genere, riescono ad incastrare velocità, virtuosismo e melodia. Dieci tracce una più violenta dell'altra si alternano in questi 50 minuti con una batteria sempre in agitazione e un riffing cavalcante, spregiudicato che lascia senza respiro. Veramente brutali queste composizioni, roba che ti metti a fare circle pit per le piazze di Padova mentre vai all'università. Se analizziamo attentamente il disco, oltre che i suoni travolgenti frutto di un'ottima produzione, possiamo notare ahimè una troppa leggerezza riguardo in sede di arrangiamenti che incidono sulla compattezza dell'ascolto. Un altro punto da osservare è l'immensa quantità di tecnicismi, a mio avviso cosa aberrante per un gruppo thrash che dovrebbe ignorantemente pensare solo a far casino. Scherzo, ci stanno proprio bene nelle loro composizioni, anche perché ad ogni ascolto si possono scoprire nuovi piccoli particolari, e non solo a livello delle linee di chitarra. Detto ciò, se siete amanti della velocità estrema e dei tupatupa a tradimento, vi consiglio caldamente di ascoltarvi questo “Need To Suffer” dato che è non è il solito banale thrash metal che in questo periodo di revival, molte band mediocri ci propinano. (Kent)

(Punishment 18 Records)
Voto: 65 

sabato 12 maggio 2012

Algol - Complex Shapes

#PER CHI AMA: Swedish Death, Thrash, At the Gates, Dark Tranquillity
Melodic Death Metal tutto all’italiana quello degli Algol, e lo posso dire con fierezza stavolta: sono orgoglioso di essere nato nel Belpaese. Tralasciando gli ovvi paragoni-metafora riguardo al nome della band (Algol infatti oltre ad essere una stella è anche il nome di un personaggio di Soulcalibur), posso confermare la generale ermeticità del songwriting e la crescente complessità che si sviluppa durante il primo ascolto. Con un nomignolo così evocativo e un titolo estremamente ragionato, ho dovuto trovare dei momenti particolari per poter procedere all’ascolto di quest’opera senza tralasciare un secondo delle atmosfere presenti al suo interno. Facendo questo, ho solo guadagnato. Gli Algol presentano un sound tutto personale, molto caratteristico in ambito death e che sarà d’obbligo seguire nella sua evoluzione nelle prossime uscite. Alcuni passaggi di tempo e melodie vengono riprese più volte tra una canzone e l’altra, conferendo serietà e compattezza ad un genere che di questi tempi tende a imitare più che sperimentare. Degli omaggi a dei maestri del death, comunque, non si fanno mancare (credo di aver trovato alcuni stralci degli At The Gates e dei Dark Tranquillity degli albori). Non ho mai amato una recensione a pari passo con le singole tracce, preferisco citare quelle che più mi hanno influenzato e fatto riflettere musicalmente. Quindi scusate se non seguo in modo matematicamente freddo la scaletta di undici tracce. Adotto un sistema molto più emotivo. “Still in My Eyes, Burning” rappresenta forse l’unico esempio di una componente ‘sinfonica’ e gothic dell’intero album. Una voce femminile subentra improvvisa e una voce pulita domina i ritornelli. Tastiere di sottofondo risultano estremamente avvolgenti e le chitarre si lasciano coinvolgere in passaggi che sono una manna per le orecchie, decretando un puro melodic death come era da tanto che non si ascoltava. A canzoni più ‘lente’ (diciamo così) come “Gorgon” e “Empire of the Sands”, si contrappongono le rapide sfuriate influenzate apertamente da un thrash old style. “Subvert” si configura perno centrale di quest’ultima tipologia. Voci in growl e screaming duettano in un sottofondo di accecante violenza sonora, perfettamente accompagnata da una batteria che sa il fatto sua (ottima anche la produzione). E poi c’è lei, la title track. “Complex Shapes” racchiude bene o male tutti i diversi fattori che portano gli Algol ad essere quello che sono. Chitarre apertamente swedish-death style su veloci riff di alti e bassi (su questo punto di fondamentale importanza è “Hate Serenades”), grande attenzione all’aspetto tecnico (magnifiche ‘plettrate’) e melodia del ritornello coinvolgente. Necessita di più ascolti. È un lavoro decisamente complesso e ci sarebbe molto altro da dire. Questi padovani sono già all’apice. Hanno creato un album di ampie vedute in un death metal melodico con influssi progressive certamente non convenzionale. Superano i maestri del genere… Si, mi sono permesso di pensarlo a volte… (Damiano Benato)

(Punishment 18 Records)
Voto: 85
 

sabato 3 dicembre 2011

Delirium X Tremens - Belo Dunum - Echoes From the Past

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death, Folk
E adesso come la mettiamo con la definizione da dare al genere proposto da questi quattro folli musicisti delle Dolomiti bellunesi? Partiamo allora da un po’ più lontano: avevo già avuto modo di apprezzare il precedente lavoro di techno death, datato 2007, della band veneta e quello che oggi devo recensire parte esattamente da quel “CreHated From No_Thing”, che si configurava come un concentrato di death metal ultra tecnico e brutale, scevro da alcun tipo di contaminazione; nel frattempo le cose sono un po’ mutate, a partire dal look della band (di stampo montanaro), per proseguire con una vena assai sperimentale dei nostri mai palesata prima d’ora. La spina dorsale del sound dei Delirium X Tremens continua certo a rimanere il techno death degli esordi, sempre potente (complice una produzione spettacolare), preciso e tagliente, inserendo però nel contesto brutale delle songs, alcuni elementi addizionali di stampo patriottico - folcloristico, capaci di rendere la proposta del combo bellunese assai intrigante e mi verrebbe da dire unica. Se il feeling che ho percepito nell’ascolto dei primi tre brani è lo stesso che infuse in me l’ascolto 20 anni fa di “The Key” dei Nocturnus, con la quarta “Artiglieria Alpina” non si può che rimanere stupefatti di fronte alla proposta dei nostri: “Al comando dei nostri ufficiali, combatteremo fucile alla mano. Difenderemo il suolo italiano, onore alpino nella storia vivrà”. L’eco del coro alpino echeggia nell’aria e mi sembra di essere tornato indietro di 15 anni, quando mi misi a disposizione dell’arma sulle montagne friulane. E cosi sparandoci in faccia dei killer riffs di puro death metal, ecco i nostri parlare della Prima Guerra Mondiale o del Vajont, con il cantato in growling (comprensibilissimo) italiano a ricordarmi la performance degli Spite Extreme Wing. Sono conquistato dalla proposta coraggiosa dell’act di Belluno, mai avrei pensato in vita mia di trovarmi di fronte ad una sorta di death metal alpino. Giusto un pezzo strumentale “The Guardian” a tramortirci e poi un coro gregoriano apre la dinamitarda “33 Days of Pontificate” a ricordarci invece che i nostri “montanari” continuano a suonare musica estrema e di non lasciarci fuorviare dalla vena troppo sperimentale di questo lavoro. I Delirium X Tremens continuano a fare male, con ritmiche violente, veloci, massicce; non importa poi se nel bel mezzo di un brano compare improvvisamente una parte atmosferica, un coro alpino o un canto gregoriano, un inserto di tastiera aliena, o un assolo da urlo, echi bucolici o una fisarmonica schizoide: i nostri baldi giovani si rivelano ispiratissimi e costantemente carichi di rabbia, in grado di incanalare brillantemente tutta la sperimentazione che è mancata nei precedenti lavori, in questa nuova geniale opera, la cui importanza (sicuramente legata alle tematiche) è avvallata anche dal patrocinio della Provincia di Belluno – Dolomiti. Che dire, se non che l’ascolto di questo cd è consigliatissimo per tutti coloro che seguono la scena estrema e anche e soprattutto per tutti gli impavidi amanti della sperimentazione. In onore alla memoria. Valorosi! (Francesco Scarci)

(Punishment 18 Records)
Voto: 80

sabato 26 novembre 2011

Absurd Universe - Habeas Corpus

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Slayer, primi Entombed
Una intro inquietante apre il debut album degli olandesi Absurd Universe, intro che cede il passo a “Freedom Less”, song che dichiara immediatamente (e apertamente) la direzione stilistica dei nostri: un classico death metal che mischia, con una certa abilità, sonorità di scuola “slayeriana” con quelle tipiche più oscure scandinave (primi Entombed). Non male vero? In effetti rimango piacevolmente stupito dalla carica distruttiva del quintetto proveniente dalla terra dei tulipani e mi lancio con loro alla scoperta di questo lavoro. Come sempre, quando ci si imbatte in generi che fanno del rigore “morale” il loro credo, si rivela sempre assai difficile uscire dagli schemi e proporre qualcosa di realmente originale. E cosi molto spesso, la recensione di un disco di death risulta alla fine essere un esercizio di puro scarico di adrenalina. “Habeas Corpus”, non è esente da questa situazione, pur proponendo alcune soluzioni, in grado di spingermi ad un ascolto più attento. Di sicuro, quello che balza all’orecchio sin dall’inizio è la profonda densità ritmica, nonché lo spessore tecnico-stilistico dei nostri. Immaginate le nove cavalcate qui contenute, come un pugile che dà dei pugni ben assestati ai fianchi del suo rivale, con una più che discreta velocità, interrotta solamente dal suono del gong. E in quei rari momenti, i nostri rallentano il proprio dinamismo (come nella parte centrale dell’angosciante “Under Command”), forse per prendersi gioco di noi, prima di riaggredirci con una serie di schiaffoni là, nel punto giusto, senza dimenticare quelle belle rasoiate, che ricordano non poco il duo Hanneman/King (“Red Water” o “Boiled by Dead Water” tanto per citare le mie preferite). Non male davvero; alla fine gli Absurd Universe riescono nell’intento di non risultare sterili nella loro proposta, ma anzi di catturare l’attenzione anche del più distratto degli ascoltatori. Gong, fine del match, i tulipani vincono per ko tecnico! (Francesco Scarci)

(Punshment 18 Records)
Voto: 75
 

sabato 15 ottobre 2011

Exence - Hystrionic

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Nevermore, Death, Anacrusis, Atheist
Guardando la il booklet di “Hystrionic” avrei scommesso 100 euro, che quello che avevo fra le mani era un cd di musica progressive... niente di più sbagliato o quasi! Potete ben immaginare la mia sorpresa, quando il genere che usciva dalle casse del mio stereo, in realtà era un thrash/death ultra tecnico e assai incazzato. La gioia maggiore è stata poi nello scoprire che la band in questione è italiana e ci ha impiegato ben 16 mesi di lavoro (dico 16!) per comporre e registrare questo istrionico debutto (tra l’altro registrato ai Not Quiet Studios di Helsingborg, in compagnia di Klas Ideberg e Peter Wildoer dei Darkane). Ho strabuzzato infine gli occhi, leggendo nella biografia della band, che i nostri hanno fatto da supporto ai Cynic. Insomma le carte in regola per fare bene ci sono tutte, bisogna dare ora un ascolto più approfondito al quartetto, guidato dal talentuoso chitarrista dei Vision Divine, Federico Puleri. I 50 minuti di “Hystrionic” si aprono con un pezzo abbastanza convenzionale di thrash metal che richiama vagamente i Nevermore, ma con la voce di Massimiliano Pasciuto (forse unico punto debole della band), stridula e un po’ fastidiosa, La song, dopo questo stentato avvio, prende a poco a poco il volo, deliziandoci con passaggi alla Death e le vocals di Max alla costante ricerca (purtroppo non riuscita) di emulare il buon caro Chuck Schuldiner. Si prosegue con “In Eternal Dynamics”, molto più ritmata ma che comunque dimostra l’ottima tecnica dei nostri e l’amore viscerale per il techno death che trova nella terza “Shaman” il proprio picco, con una serie di assoli dalle forti tinte power-progressive. Accanto agli ottimi solos di Federico, c’è da annotare una ritmica non brillantissima: è forse un po’ da rivedere a livello di suoni di batteria e potenza delle chitarre, sempre e comunque ben affilate. Il disco prosegue attestandosi su un livello medio alto dei brani, che mostrano la vena assai ispirata dell’act italico, passando con estrema disinvoltura da pezzi ispirati ritmicamente ai Pantera ad altri più complicati in pieno stile Death. “In Loving Memory” è un pezzo strumentale che ci dà modo di prendere un attimo il respiro e ripartire poi ancora più forti con la successiva debordante e palesemente “deathiana”, “Primal Mystic Substance”. Peccato, peccato solo per la non convincente prova a livello vocale di Max: se solo si fosse potuto prediligere un cantato più espressivo, il voto sarebbe stato più alto, ma comunque, come debutto non è poi cosi male. Da tenere quindi, costantemente monitorati, perché il capolavoro si nasconde dietro l’angolo. (Francesco Scarci)

(Punishment 18 Records)
Voto: 75