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sabato 4 marzo 2017

Ovnev – Cycle of Survival

#PER CHI AMA: Black Atmosferico, Agalloch
Il solo fatto di aver visto la cover cd di questo album, mi ha messo brividi di freddo. Mi domando come si faccia a concepire questi scenari di montagna cosi aspri, vivendo in Texas? Gli Ovnev vengono infatti da Spring, modesto agglomerato urbano nei dintorni di Houston e sono in realtà una one man band dedita ad un black metal d'atmosfera. Anche questa volta, ci ha visto lungo la Naturmacht Productions mettendo sotto contatto il buon West, mastermind dei nostri, confermando una certa predilezione dell'etichetta tedesca per tali sonorità. Cinque i brani contenuti in questo 'Cycle of Survival', un "ciclo di sopravvivenza" forse legato proprio all'esplorazione delle montagne in copertina o chissà. Si inizia con le acustiche melodie di sofferenza di "The Observatory", una traccia mid-tempo, in cui da evidenziare ci sono le linee di chitarra assai malinconiche ad opera del factotum statunitense, che si accompagnano a delle strazianti vocals. Le velocità non vanno mai oltre certi ranghi, anzi quello che mi colpisce maggiormente è un break a due minuti dalla fine in cui la canzone sembra concludersi, ma in realtà segna il confine di demarcazione per una sorta di outro elettro-acustico ad un pezzo che ha il solo difetto di avere una produzione forse un po' troppo impastata. Chi cerca velocità più sostenute rimarrà deluso: forse qualcosina all'inizio della successiva "Thrill of Pursuit", una song che più che altro sottolinea l'asprezza a livello vocale di West (a volte i suoi vocalizzi assomigliano a degli ululati) e anche una certa crudezza a livello ritmico, stoppata in più frangenti da fraseggi di chitarra acustica che compaiono cosi improvvisamente dal nulla e cosi come sono apparsi, si dileguano tanto facilmente, lasciando spago a delle galoppate di furia estatica. Il canovaccio del musicista texano si ripete anche in "Prosperous Desperation", con una classica e lunghissima intro arpeggiata in stile Agalloch, dai forti sentori folk, a cui seguiranno le chitarre cupe ma controllate di Mr. West e anche le sue sempre più arcigne manifestazioni vocali, molto spesso difficilmente intellegibili. L'oscuro e claustrofobico vortice sonoro degli Ovnev prosegue nella title track, la traccia che trova finalmente sfogo in un black feroce e tumultuoso che vive tuttavia di cambi di tempo, di aperture heavy e in cui il suono dell'act americano si stacca dall'ancoraggio estremo e finisce per celarsi in una notte di plenilunio in cui il verso del lupo echeggia nello spazio infinito. La delicatezza della sei corde acustica segna la conclusione della song più breve (fatto salvo per l'epilogo acustico della conclusiva "Suspended in Spirit"), ma anche più varia del disco. 'Cycle of Survival' alla fine si rivela come un interessante debutto, su cui c'è ancora molto da lavorare, ma che lascia comunque intravedere spiragli di buona musica per il futuro. (Francesco Scarci)

(Naturmacht Productions - 2016)
Voto: 70

sabato 4 febbraio 2012

As Autumn Calls - An Autumn Departure

#PER CHI AMA: Death Doom, Saturnus, primi Katatonia
Anche la scena canadese inizia a mostrare un certo fermento al suo interno; complici forse le sterminate distese di boschi o i ghiacci invernali, la quasi totale assenza di anima viva su un territorio esteso migliaia di km, tutto questo forse stimola non poco l’immaginazione delle band che, pian piano, stanno emergendo dall’underground, non ultimi i Crepuscule, da poco recensiti e questi As Autumn Calls. Quando poi leggo Autunno nel nome del gruppo di quest’oggi, inevitabilmente mi viene da pensare a sonorità tipicamente death doom, intrise di una forte vena malinconica. E in effetti dopo che il consueto intro ha fatto il suo corso e la successiva “Closer to Death” attacca, mi accorgo di non aver sbagliato di una virgola il mio pronostico. Quello degli As Autumn Calls è infatti un death doom dalle inequivocabili tinte autunnali, basato su ritmiche mid-tempo, sorretto da arioso melodie di tastiere, qualche gradevole intermezzo acustico, lunghe cavalcate epiche che con la mente mi riportano a sterminate zone boschive, ambientazioni decadenti, con le growling vocals di James (non proprio eccezionali) che si alternano a quelle pulite di Andrew, anche chitarrista del trio dell’Ontario. E cosi una dopo l’altra, le song si avvicendano come la (poca) luce al Polo Nord d’inverno: qualche schitarrata furiosa di derivazione death (la luce) che si alterna con i tanti momenti di quiete (le parti acustiche o altri frangenti decisamente più cadenzati) che costituiscono il nostro buio; esempio lampante di questa mia descrizione potrebbe essere “The Demons Therein”. Le song poi più o meno si assomigliano tutte, magari variando solo in termini di lunghezza (dai quattro ai nove minuti), prendendo come punto di riferimento il black doom primordiale dei Katatonia. Katatonia si, che peraltro vengono addirittura coverizzati, anche discretamente bene, col brano “Murder”, confermando alla fine la bontà (ma ancora un po’ acerbo) del combo canadese. Un invito è quello di continuare a seguire gli As Autumn Calls, perché mostrano delle buone potenzialità in prospettiva. Tiepido esordio, ora attendo la bomba! (Francesco Scarci)

(Naturmacht Productions)
Voto: 70
 

sabato 15 gennaio 2011

Agael - Hybris


Innanzitutto diciamo che Agael non è una band, ma una “one-man band”, proveniente dalle lande teutoniche, con il primo album uscito nel 2009: misterioso, come la sua musica. Inserisco il cd nel lettore. Sento le prime note, e già mi sovviene la sensazione di dovermi imbarcare per un viaggio via mare. “Black Human Snow” si caratterizza da suoni orchestrali e trombe dal suono profondo, che ricordano vagamente i suoni di una nave; seguite poi da una vena più spleen, con pianoforte e drum machine, che ci destano dalla nostra fantasia. “Legend”, la traccia seguente, si affida più alla ruvidezza delle chitarre (in parte distorte e in parte pulite) e alla voce quasi incomprensibile e gracchiante: la vedrei bene come voce di Freddy Krueger per un nuovo capitolo della saga... tutta la traccia segue lo stesso riff di chitarra, accompagnato da suoni bui in sottofondo, pregni di una vena malvagia, che questo misterioso personaggio vuole mostrare ai più. Per quante volte la si ascolti, non riesco nemmeno a capire se Mr. Agael canti in inglese o in tedesco: la voce è talmente distorta da risultare di difficile interpretazione. Viene poi il turno di “Inanity”, con la pura drum machine in primo piano, che accompagna stridenti vocals, in questo frangente più chiare nella loro comprensione: ora si riesce infatti a capire il linguaggio utilizzato è l’inglese con alcuni intermezzi in tedesco e un’alternanza di clean vocals e screams. Dopo la parentesi più “umana”, il sound rallenta fino a mettere in risalto la timbrica dei piatti della batteria e dei suoni campionati (mi ricorda un non so che dei primi Nine Inch Nails), per poi riprendere nuovamente la precedente cadenza. Con “Lambs of the Rain” si placa la rabbia del nostro eroe, lasciando più spazio ai suoni di un temporale accompagnati dalle note di un pianoforte: un perfetto connubio per sottolineare la tristezza e la malinconia che la vita può portare. Se ascoltato mentre ci si riposa sul divano o sul letto, rilassa a meraviglia. Con “Cathartic” ci si ridesta dal torpore creato dalla precedente song, ma in maniera meno traumatica: mi azzardo a dire che assomiglia al progressive rock dei Porcupine Tree, anche se decisamente in salsa più metal e distorta. Tutta la traccia è strumentale e riesce addirittura a mettere di buon umore, con qualche strillo di gabbiano qua e là: più il cd avanza e più resto stupita di quest'idea di associare l'ambient al black metal (che, a parer mio, è qualcosa di spettacolare). Che dire di “My guilt”? Violino e suoni pomposi,che ci accompagnano ancora lungo il nostro cammino iniziale, in un'altra epoca ove la nostalgia finisce tuttavia per prendere il sopravvento. Con “Have you Seen the Others” torniamo al sound di “Legend”, ma con una certa differenza nello stile: la batteria viene intervallata dai momenti cantanti e dai soliti suoni orchestrali (su questo si è particolarmente fissato). Siamo quasi in dirittura d’arrivo mentre “Garden of Detritus” scorre in sottofondo con le sue ambientazioni, pacate, rilassate e a tratti inquietanti (mi aspettavo che prima o poi uscisse un urlo da farmi saltare sulla sedia). Si arriva così alla sorprendente “Die Gestohlenen Flüsse”. Perché sorprendente penserete voi? Perché, semplicemente, racchiude ben due tracce fantasma al suo interno. Se la traccia “ufficiale” è caratterizzata dal campionatore e qualche violino, con il suol ritmo quasi funebre, dopo una pausa di 2 minuti e mezzo deflagra semplicemente un riff campionato, mentre la seconda ghost track è l'associazione di pianoforte, batteria e flauto, un connubio che lascia senza parole per la stranezza di questa scelta, ma che la rende valida ascolto dopo ascolto. Posso concludere dicendo che ho dovuto ascoltare “Hybris” moltissime volte per riuscirne a captare tutte le sfumature in quanto si tratta di una release talmente ricca e varia di suoni, idee e sperimentazioni che necessita molti ascolti e molta attenzione. (Samantha Pigozzo)

(Naturmacht Productions)
Voto: 75