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martedì 7 giugno 2011

Shattered Hope - Absence

#PER CHI AMA: Death Doom, primi Anathema e My Dying Bride
La Solitude Productions continua imperterrita nella sua ricerca di talenti in giro per il mondo, dediti al death funeral doom ed ecco questa volta saltar fuori dalla Grecia questi Shattered Hope (da non confondere con gli omonimi metallers olandesi). La band di Atene, in giro ormai da quasi dieci anni, giunge finalmente al debutto dopo un paio di demo datati 2005 e 2007. La proposta del combo dell’Attica, come avrete capito, è un death doom che si rifà ai primissimi Anathema (quelli di “Serenades” tanto per capirci), sia per la considerevole lunghezza dei pezzi, sia per la plumbea atmosfera che ivi si respira, capace di farci sprofondare nella malinconia più totale, fin dall’iniziale “Amidst Nocturnal Silence”, song dotata di un forte flavour gotico. I primi tre pezzi (per la cronaca in “Vital Lie” compare come guest vocals anche Jo Marquis degli Ataraxie) sono la rappresentazione in musica di uggiosi paesaggi autunnali, caratterizzati da ritmi lenti, ossessivi per la loro ripetitività di fondo, dato da un riffing granitico e dalla presenza di un meraviglioso violino, in grado di regalare quell’aura nostalgica tipica dei My Dying Bride, che emerge ben presto e mi fa apprezzare non poco la proposta del sestetto greco. Arriva il momento di “Yearn” e anche delle mie prime perplessità: si tratta infatti di una song a sé stante, della sola durata di 3 minuti e mezzo, che spinge parecchio l’acceleratore grazie ad un death anonimo, che viaggia su ritmiche abbastanza tirate e con il vocione profondo di Nick a fare il verso a Darren White. Con “A Traitor’s Kiss” ricompaiono fortunatamente le melodie crepuscolari e l’influenza delle band della terra d’Albione si fa ancora più forte, a scapito ahimè dell’originalità, anche se a metà pezzo uno screaming mutuato quasi dal black, prende il sopravvento, con le ritmiche che accelerano paurosamente, ma è solo un attimo perché si ritorna ben presto alle decadenti atmosfere iniziali; qui le vocals riescono addirittura a trovare lo spazio in versione pulita e il sound pesca a piene mani anche dal repertorio dei Saturnus (complice la presenza alla voce di Thomas A.G.) e agli irlandesi Mourning Beloveth. È poi il momento di un intermezzo strumentale, prima dei monolitici 19 minuti finali della conclusiva “The Utter Void”, dove l’aria si fa ancora più rarefatta e stancamente si arriva alla fine di questo “Absence” che ci rivela che una interessante, ma ancora un po’ acerba realtà, si è affacciata nel panorama death doom mondiale. Nostalgici! (Francesco Scarci)

(Solitude Productions/Lugga Music)
Voto: 65

giovedì 17 marzo 2011

Nicht - PART 1 Catalepsy Sinks


Da Parigi ecco arrivare sulla mia scrivania un mcd alquanto interessante, che fin dalla prima traccia “Out of Reach” (a parte l’intro), mi ha scaraventato indietro di quasi quindici anni, quando uscì il sorprendente debutto dei tedeschi Evereve. Certo non siamo ai livelli disumani di quell’album, ma il piglio fantasioso della band transalpina, mi ha da subito conquistato. Il sound proposto dal trio guidato da Iggy Sharpe alle voci, ci presenta un death gothic intriso da oscure tinte darkeggianti, sulla scia dei paladini norvegesi Tristania: il riffing pur risultando ancora un po’ impreciso, si rivelerà alla fine assai piacevole, buona la prova di Iggy alla voce, che denota una grande ecletticità e disinvoltura nel passare da un growling, sempre estremamente chiaro a interessanti cleaning vocals, un po’ meno le female vocals di Sombr I Yahn, che denotano invece una scarsa personalità. Nella successiva “Last Breath”, il livello qualitativo dei nostri subisce una forte impennata: intro affidata ad una chitarra acustica, linee ritmiche assai melodiche ma mai marcatamente ruffiane, le vocals che viaggiano su invisibili binari di cleaning e growling, con quest’ultima che finisce per prendere sempre brillantemente il sopravvento; bridge centrale, in cui Iggy sembra una versione poco più aggressiva di Bon Jovi (!?!), con tonnellate di emozioni incanalate nel flusso vibrante di chitarre malinconiche, sofferenti e prive di speranza. E proprio alla ricerca di speranza si procede con la quarta “Hope”, aperta da sussurri disperati ed eteree vocals femminili fino allo scrosciante growling di Iggy e all’impetuoso attacco ritmico (al limite del black), che rendono questa la mia traccia preferita di questo scoppiettante debutto, capace ancora di rendersi portatrice di soffuse luci autunnali anche nei successivi brani. I Nicht non saranno dei fenomeni a livello tecnico, tuttavia il loro gusto per ambientazioni decadenti, atmosfere cariche di tensione (ascoltate l’intermezzo “Room 19” per avere un’idea) e song ricche di un suggestivo groove, fanno di questo EP un buon punto di partenza per una band che esiste solo dal 2009. In bocca al lupo quindi, non vedo l’ora di scoprire il vostro full lenght! (Francesco Scarci)

(Lugga Music)
Voto: 75